Resistenza e revisionismo
i discorsi
di Ettore Gallo (29-32) – segnalato da Alberto Fontanella Solimèna (66-69) - e-mail:
fons@katamail.com
testo
dell’ultimo intervento in pubblico di Ettore Gallo al convegno “Il cosiddetto
revisionismo”
Vorrei fare solo qualche osservazione che
potrà in un primo momento apparire nominalistica ma che in realtà ha un suo
contenuto sostanziale sul termine revisionismo: effettivamente bisogna
riconoscere che questo termine, alle origini, nasce puro, neutrale ed è vero
che si tratta di uno strumento della indagine scientifica, direi anzi non
soltanto storiografico, come di solito si dice, ma della scienza in genere
perché ogni qualvolta si mette in discussione criticamente un traguardo che la
scienza ha raggiunto, evidentemente si fa della revisione e quindi del
revisionismo. Però bisogna ormai riconoscere che, almeno dalla prima decade del
secolo scorso, la parola si è andata lentamente deteriorando; già durante il
Novecento effettivamente convivevano i due significati, ma c’era un movimento
di idee, spesso pretestuoso, e non soltanto nella storia ma in tutti i rami
della scienza, per cui questo aspetto del revisionismo cominciò ad assumere un
valore deteriore, svalutativo; un atteggiamento che poi si è esaltato in questi
ultimi 50 anni, nel secondo dopoguerra, quando attraverso il revisionismo si è
introdotta la vera e propria sconfessione dei principi fondamentali su cui si
era fondata la lotta di liberazione, la Costituzione, la Repubblica.
Ma allora, ecco la domanda che pongo;
perché non ci rassegniamo a questo il solo esempio, ce ne sono molti altri,
nella nostra lingua, di parole che nascono neutrali e finiscono invece per
diventare oggetto di litigio. Perché non ci rassegnamo e quindi lasciamo sulle
spalle di questi signori il termine di revisionismo come effettivamente un
cosciente rimprovero di una vera e propria eresia che si compie, e attribuiamo
invece alla scienza, alla storiografia in particolare, altri termini? Del resto
viene naturale, il concetto di rivisitazione è scientifico, i giuristi mi danno
atto che in termini giudici è usato comunemente. Si usa per la rivisitazione di
una teoria, di una tesi. Quindi adoperiamo per la scienza questo termine e lasciamo
per le eresie il termine di revisionismo.
Poi effettivamente va distinto il
vero e proprio negazionismo dal semplice revisionismo. Anche se c’è da dire che
talvolta il metodo revisionistico assume anche un aspetto estremamente
insidioso; perché demolendo aspetti essenziali, caratteristici di un concetto,
di una idea di un dato momento storico, si finisce per confluire nel
negazionismo. In un modo estremamente subdolo, perché non si nega il fatto
storico in sé, come fanno i negazionisti, spesso aprioristicamente e senza
motivazione. Non lo si nega,
però lo si distrugge, arrivando in sostanza alla stessa conclusione del
negazionismo.
A questo proposito mi viene in mente un
episodio che mi è accaduto lo scorso anno, o forse più di un anno fa, non mi
ricordo bene.
C’è a Venezia un magistrato notevole, devo
riconoscere, anche intelligente e preparato, che appartiene alla Procura
generale, è un sostituto procuratore. È ancora giovane, penso che sia sui 40
anni, anzi debbo dire che quando era più giovane io lo avevo anche molto
apprezzato perché aveva dato segni di una certa autonomia, indipendenza che in
un magistrato fanno sempre piacere, per la verità. Ma da ultimo non ho capito
bene il perché, ogni qualvolta ha
ragione di intervenire e l’ha spesso - perché, ripeto, è un magistrato notevole
- in una qualsiasi questione, specie se poi c’era appena appena un fiuto
politico nella questione, conclude sempre con una specie di battuta e dice: “E
non parliamo poi della Resistenza che non è mai esistita, è stato così, un
sogno gratuito di alcuni cittadini”. L’ha detto più volte. E siccome la stampa
riprendeva subito, naturalmente, come spesso purtroppo fanno i media che
riprendono sempre le cose deteriori e che sono contro quello che abbiamo fatto,
allora lui se ne compiaceva e le ripeteva alle successive occasioni. Insomma,
ho portato un po’ di pazienza, ma alla quarta volta ho scritto un articolo
piuttosto duro, adesso non mi ricordo se era su ”Il Messaggero”, “la
Repubblica” o “l’Unità”, insomma uno di questi giornali. E gli ho detto: sa, a
parte tutti gli argomenti, c’è un piccolo particolare che non riusciamo a
collocare in questa veduta del magistrato così colto e intelligente: ci sono
alcune migliaia di morti che non sappiamo dove mettere perché, se non è
esistita la Resistenza, che ne facciamo? O sono morti di sogno o di sonno.
Questo era solo uno degli argomenti espressi, gli e ne ho detti molti altri.
Allora lui mi ha risposto debolmente, per
la verità, e guarda, strana coincidenza, mi ha risposto sul giornale su cui
scriveva e tuttora scrive largamente, che è “il Tempo”, e non è poi un giornale
di estrema sinistra: “Ma sì, per carità, i morti vanno rispettati - mi ha
risposto - ma sai, in fondo i morti cadono per un ideale, non è detto che l’ideale
resista o sussista”.
Insomma, se l’è cavata con poche
espressioni direi non degne di lui, della sua intelligenza, piuttosto banali,
di chi non aveva argomenti. Io ho replicato a questa sia pur debole risposta:
insomma, se non credi alla nostra letteratura, ormai sono migliaia le cose che
sono state scritte, quella storica, sfrondando da quella comprensibilmente un
po’ retorica ed evocativa, se non hai fiducia nella letteratura sulla
Resistenza, cerca di studiare, vatti a leggere almeno quello che hanno scritto
gli stranieri. Va a vedere cosa ha scritto il comandante americano della linea
gotica, cosa ha
scritto a proposito di quel passaggio per quella purtroppo, lasciatemelo dire,
un po’ insensata sosta che ha veramente messo in crisi la Resistenza.
Perché non sapevano dove andare: andare a
casa dove ci aspettavano i fascisti? Il comandante americano ha riconosciuto è
stato molto importante che se ci fossero stati partigiani sulla linea gotica,
attraverso le montagne, per prendere alle spalle quel famoso nido di
mitragliatrici che non riuscivamo ad estirpare. Dice che l’Italia l’hanno
liberata gli alleati, i partigiani non c’entrano. Non abbiamo mai preteso di
aver liberato l’Italia o di aver vinto la guerra da soli.
È chiaro, è evidente: avevamo qualche
fucile, qualche pistola, eravamo quasi disarmati, mentre gli alleati avevano
dalla loro l’esercito più potente del mondo. Insomma si capisce che non avremmo
potuto far la guerra da soli e quindi il nostro non poteva che essere un aiuto
che davamo all’avanzata degli alleati.
Ma un aiuto che tutti hanno ritenuto
decisivo. E quel che più vale, i tedeschi stessi lo hanno riconosciuto.
Schriber, il quale proprio tre o quattro anni fa, in un convegno a Carrara e
Massa (cioè proprio sulla linea gotica) è andato a consultare tutti gli archivi
sia americani che tedeschi dove si parlava di quell’evento e tutti i documenti
concordavano: quello dei
partigiani è stato un intervento decisivo per la rapida fine della guerra in
Italia. Ho sentito con piacere questo tedesco. A questa mia replica il giovane
sostituto procuratore, non c’è più stata risposta.
Ho ricordato questo episodio perché
dobbiamo riflettere su cosa non dobbiamo più lasciar passare. Bisogna
intervenire subito, rispondere, alzare la voce, bisogna gridare.
Ne abbiamo il diritto.